Testamento Pop

Te lo chiedo
voglio che tu sia d’accordo, che tu acconsenta a farti macellare l’anima.
Le carni non contano, lascia perdere, carcassa da sacrificio,
le carni si rimescolano alla salute, ma non dimenticano, questo è vero.
E ti faranno piangere, anni a venire, quando meno te lo aspetti
in un bar, di notte
davanti al quadro di una mostra a cui non volevi nemmeno andare
in macchina, mentre guidi, all’alba, e ascolti una poesia —inutile.
E tu ci pisci sui tuoi lividi, ci sputi sopra e li carezzi, convinto che sei cura.
O te ne freghi, pronto ad immolarti e a trascinare miracoli di luce nelle fogne,
scaricandoli in un cesso di una stazione di passaggio.
Come se ti stessi cagando via la morte.
Lascia che me ne sbatta delle lame che riaprono le piaghe
che mi liberi della devozione e del miracolo
–un porno cuore
e dammi tregua
fammi giocare con la pelle morta che mi si stacca dai polsi
perché anche quando traduci il tuo respiro in canto
qualcuno saprà fingere di risuonare al tuo stesso ritmo.

Ti avrà a disposizione in un incubo di rarità
quell’anima
quella che ti illudi riconosca il tuo passato
– scherzo bastardo che non avverte mai, ritorna e spara.

Ti consoli, che infine sei un qualcosa, un aneddoto annichilito, una luce in lontananza.

Non hai tempo, non ne hai più.
E ne regalasti come un fiore di campo,
colto in uno spasmo
perché era bello, e libero.
E credevi fosse lì, per te,
senza prezzo e sangue.